Informazione e intrattenimento: industria o artigiano?

Ricevo e volentieri pubblico un interessante contributo di Ludovico Baldessin.

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A 58 anni John Locke, già assicuratore e immobiliarista, ha scritto il suo primo libro. L’ha messo in vendita a 99 centesimi di dollaro su Amazon, e l’ha venduto ad oltre un milione di persone.  A differenza di Stieg Larsson e degli altri 6 autori che hanno superato il milione di download, John Locke è  un autore indipendente che ha pubblicato autonomamente la sua opera grazie a Kindle Direct Publishing di Amazon.

Il self-publishing è la dirompente modalità di disintermediazione nata online che acuisce l’agonia in cui versa l’editoria. Sono svariati gli ambiti in cui il canale online ha azzerato la distanza tra originatore di contenuto e fruitore: da Youtube che ha consentito ad uno sconosciuto ragazzino, Justin Bibier, di diventare un popstar planetaria anche senza casa discografica a Wikipedia che grazie ai processi di collaborazione online ha decretato la fine dell’enciclopedia. Treccani e Britannica rimarranno nei nostri ricordi alla stregua dei gettoni del telefono. Strumenti resi obsoleti dai tempi.

La swarm intelligence, l’intelligenza collettiva degli internauti, genera oggi i contenuti di Wikipedia e pilota sconosciuti in cima alle classifiche di Amazon e Youtube. Il ruolo di soggetti di mediazione, come editore o casa discografica, si affievolisce giorno dopo giorno per l’incapacità di queste aziende di creare un valore aggiunto tangibile per il fruitore.

Il futuro dell’industria dell’informazione e dell’intrattenimento gravita oggi attorno a poche parole chiave: accesso, promozione, qualità, tecnologia.

Accesso

Apple, Google e Amazon hanno sottratto il ruolo di abilitatore di contenuto all’industria dell’informazione e dell’intrattenimento offrendo al fruitore un’efficacia di utilizzo validata da criteri meritocratici; gli stessi criteri che nel 2000 sancirono il successo di Google (più veloce, con una ricerca più accurata e con più contenuti) e il decesso di Altavista, che fino ad allora era stato il motore di ricerca più utilizzato nel mondo. Analogamente la preferenza accordata da molti ad iTunes rispetto ai download con software p2p è determinata non solamente dal rispetto della legalità, ma soprattutto dalla semplicità di utilizzo, dalla ricchezza di contenuto e dalla accuratezza del sistema di Apple.
Ampiezza dell’offerta e collaboratività sono le caratteristiche vincenti dei nuovi abilitatori di contenuto rispetto all’industria tradizionale. L’assenza di limiti spazio temporali ai “palinsesti”, cardine dell’offerta tradizionale degli editori, consente ai nuovi attori di soddisfare una maggiore domanda frammentata su prodotti di interesse più specifico, generando quindi valore anche sulla “coda lunga” (molti articoli interessanti per pochi). I sistemi collaborativi portano a fattore comune l’esperienza ed il giudizio di una pluralità di soggetti, garantendo meritocraticamente maggiore visibilità ai prodotti di maggiore consenso, me anche consentendo suggerimenti mirati basati sulla storia di fruizione di soggetti con gusti simili.
Forse WSJ e BBC, ma sicuramente pochi soggetti al mondo dell’industria dell’informazione e dell’intrattenimento, possono oggi ancora cercare di sfidare Apple, Google e Amazon come canale di accesso al contenuto.

Promozione

La presa di coscienza – empowerment – del fruitore sta profondamente rimodellando anche il marketing: l’advertising online, seppure forma pubblicitaria molto moderna, è già morto. I risultati dei banner, di qualsiasi forma e foggia, sono modestissimi (84% dei giovani tra 25 e 34 anni abbandonano siti internet a causa di pubblicità irrilevante o intrusiva). Gli annunci promozionali su Google e Facebook performano poco meglio. Le comunicazioni promozionali via email, DEM, non sono mai aperte dalla metà dei destinatari. La comunicazione basata su broadcasting (il messaggio uno-a-molti) e GRPs (frequenza di ripetizione del messaggio) sta divenendo sempre meno efficace: il marketing matura verso un dialogo bidirezionale, in cui la relazione con il fruitore è l’obiettivo. I tassi di conversione degli utenti che accedono ad Amazon da un motore di ricerca sono estremamente più alti di quelli dell’editore che promuove l’ultimo libro con un mezza pagina su un quotidiano nazionale.

Qualità

L’ultima trincea dell’industria dell’informazione e dell’intrattenimento, in particolare in quelle nicchie del mercato dove la forza dirompente dell’innovazione arriva più tardi, è la qualità: la caratteristica che può virtuosamente differenziare sia un prodotto industriale da uno “artigianale” sia un produttore industriale da un artigiano.
L’importanza di questa caratteristica è, per il prodotto, minata dalla discrasia tra qualità dichiarata (dall’industria) a qualità percepita (dal fruitore). La differenza è radicata nella cultura diffusa in gran parte dell’industria dell’informazione e dell’intrattenimento: ha incancrenito dinamiche autoreferenzianti che hanno allontanato dal mercato editori e case discografiche, convinte di svolgere una funzione evangelizzatrice, di conoscere ciò che è meglio per il fruitore, di poter decidere il posizionamento del proprio prodotto sul mercato in una sorda sala riunioni. La definizione di qualità dell’industria è nel tempo divenuta distonica rispetto al mercato di riferimento: mentre il mercato rifletteva gli epocali cambiamenti sociali, culturali e tecnologici, i processi che governano l’industria rimanevano immutati, determinando un’assenza di innovazione sul prodotto. L’aver codificato rigidamente processi e ruoli ha consentito una standardizzazione del prodotto virtuosa seconda logiche di profittabilità, ma ha nei fatti ostacolato una politica di evoluzione continua del prodotto orientata non tanto all’efficienza del sistema quanto all’efficacia o alla qualità per il fruitore. A causa di questo approccio la maggioranza dei recenti successi nel mercato dell’editoria e dell’intrattenimento non sono stati conseguiti dalle più ricche, potenti e conosciute imprese industriali del settore ma da nuove realtà con buone idee e poche risorse iniziali (Apple, Facebook, Google, persino l’Huffington Post).
La qualità, nella prospettiva del produttore, è la caratteristica valoriale tangibile dello specifico prodotto che può essere traslata come paradigma astratto al produttore; tuttavia pochi soggetti del settore hanno saputo costruire un denominatore di valore, il marchio, costruendo un’autorevolezza aziendale basata sulla fedeltà del fruitore, intrinseca garanzia della qualità dei prodotti. Il marchio del più grande editore del mondo, News Corporation, è sconosciuto alla moltitudine dei fruitori di Fox, Sky, National Geographic, WSJ così come il nome della casa discografica di Lady Gaga; per antitesi la smisurata aspettativa che anticipa ogni nuovo prodotto di Apple è la migliore testimonianza della qualità che il fruitore riconosce intrinsecamente all’azienda fondata da Steve Jobs. Differentemente in nicchie specialistiche del mercato dell’informazione e dell’intrattenimento i marchi di Amazon, Apple, Google non dispongono tutt’oggi dell’autorevolezza necessaria per garantire la qualità del prodotto e quindi gli attori esistenti possono beneficiare ancora significativamente della propria specifica caratterizzazione.

Tecnologia

È una leva strategica non adeguatamente metabolizzata dagli attori più tradizionali del mercato ma è sempre più spesso determinante nel garantire l’efficacia dell’esperienza del fruitore, che giudica il valore di un prodotto in base a caratteristiche funzionali ma anche emozionali e “spirituali”, nella misura in cui corrispondono alle sue aspirazioni. Gli editori di quotidiani per troppo tempo non hanno compreso quanto il loro prodotto non si esprimesse unicamente nella notizia ma fosse determinato dell’insieme di notizia, supporto cartaceo ed edicola. Molti attori del mercato analogamente non hanno percepito adeguatamente l’identità dei propri prodotti e il progressivo azzeramento del vantaggio tecnologico prodotto dalla disponibilità di nuovi strumenti online che consentono al singolo di pubblicare contenuti, informazioni, applicazioni e giochi.
L’efficace esperienza di lettura e fruizione dei dispositivi commercializzati da Apple e Amazon ne ha decretato il successo, così come la tecnologia di alcuni motori 3D dei videogame garantisce un significativo vantaggio rispetto alle possibilità del singolo: le poche industrie dell’informazione e dell’intrattenimento che hanno investito in innovazione e tecnologia per migliorare la fruizione (in tecnologia per l’accesso, la manipolazione, l’interrogazione del contenuto) sono riuscite a creare un valore percepito differenziante.

 In conclusione, il futuro dell’industria dell’informazione e dell’intrattenimento è oggi più che mai determinato dalla capacità di innovare e rimodellare i propri processi per generare nuova qualità e di sviluppare tecnologie che esaltino l’esperienza dell’utente. La definizione di nuovi standard qualitativi e tecnologici può assicurare un valore intrinseco del prodotto – sia esso libro, rivista, musica, gioco – che lo differenzia rispetto a quanto oggi l’utente singolo e la collettività degli utenti possono autonomamente generare.

3 Replies to “Informazione e intrattenimento: industria o artigiano?”

  1. Mi accodo ai complimenti per i concetti espressi: lo sguardo sulle frontiere dell’innovazione inevitabilmente apparirà poco chiaro, ma del resto non si può chiedere all’orizzonte di splendere come un mezzogiorno…
    Mi ha un po’ spaventato il commento di marica, invece: chiedere a chi ama l’editoria di scrivere come un indice? Non capisco che vuol dire. Certo tutti noi condividiamo la sfida alla fruibilità del contenuto. Ma questo non vuol dire far coincidere il contenuto con l’indice stesso. Sarebbe come se al ristorante invece di ordinare un piatto mangiassimo il menù.
    Marco

    1. Indice? Non mi sembra di aver citato questa parola, né intendevo dire che dobbiamo imparare a scrivere dei titoli. Parole chiare, frasi semplici… Chi scrive oscuro e contorto spesso ha oscure e contorte pure le idee. Scrivere facile – in modo comprensibile, efficace e comunicativo – è la cosa più difficile al mondo. Come sa bene chi scrive per mestiere. La mia “critica” non si rivolgeva al contenuto, ma alla scrittura. Il lettore non deve rileggere la stessa frase 2 o 3 volte per capire. Né restare, una volta riletta la frase, con il dubbio di aver capito. Ad esempio, dal testo qui sopra: “La qualità, nella prospettiva del produttore, è la caratteristica valoriale tangibile dello specifico prodotto che può essere traslata come paradigma astratto al produttore”… Alla 3a rilettura ho ipotizzato che volesse dire: “se un prodotto è di qualità, il fruitore trasferisce il giudizio di valore dal prodotto al produttore”. Ma non sono proprio sicura di aver capito, né aiuta il testo che segue… Comunque, evidentemente, non era chiaro nemmeno il mio post… 😦

  2. Esprime dei concetti molto importanti per tutti coloro che lavorano nell’editoria e per l’editoria e lo fa con grande ricchezza di riferimenti pertinenti. Ma, se mi posso permettere una critica, spero, costruttiva, in molti punti il discorso è troppo involuto e quindi oscuro. Anche noi che amiamo l’editoria e scriviamo per mestiere cerchiamo di fare come Google: parole chiare, frasi semplici e veloci da capire. In ogni modo, grazie mille per i concetti, sui quali dobbiamo davvero lavorare e in fretta. Marica

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