Nel 2007 il fondo per l’Editoria poteva contare su risorse pari a 564 milioni; un fiume di vino fresco e fragrante, che riempiva i calici di editori grandi e piccini, allietava e dava una piacevole ebbrezza. Nel 2012 saranno 53,5 milioni. E’ il fondo della bottiglia, ormai amaro e limaccioso.
Purtroppo l’ultimo decennio dell’editoria è stato favorito da economie esterne che permettevano di conservare l’equilibrio del settore pur in presenza dell’inizio della grande rivoluzione digitale, che nel sottofondo iniziava a scalzare i pilastri di un ecosistema che si conservava, immutato nei suoi fondamentali, da circa mezzo millennio. Dico purtroppo perché questo ha creato o favorito illusioni di sostenibilità, impedendo di concentrarsi su quello che stava succedendo, e sullo sforzo di innovazione necessario.
I collezionabili, i panini, sono un altro ottimo esempio di “doping” artificioso che ha illuso gli azionisti e raddrizzato i bilanci nel breve termine, per poi scomparire di colpo, quando sono finiti gli spazi disponibili per dvd e libri nelle librerie degli italiani.
L’effetto finale dunque è stato nefasto, perché ha ritardato la reazione al cambiamento in corso e ha di fatto impedito di concentrarsi sull’unica vera grande soluzione alla crisi in atto: l’innovazione.
Non mancano le opportunità, non mancano i casi di successo. D’altro canto, o ci dedichiamo al nuovo gettando il cuore in avanti, oppure utilizziamo il nostro tempo a difendere la trincea, suggendo le ultime stille dalla bottiglia ormai tristemente trasparente. Non si può fare tutte e due le cose, le ore nella giornata sono quelle. Come afferma Gordon Gekko nell’ultima puntata dell’epopea di Wall Street, “Money is not the prime asset in life. Time is”. E il tempo non è dilatabile, dobbiamo spenderlo per cercare nuove vigne dove vendemmiare.