L’uovo dei record rinnova un’antica illusione: che l’abbondanza di quantità possa sopperire alla mancanza di qualità; che avere consenso possa sostituire l’avere ragione; che contare significhi comprendere.
L’uovo dei record conta solo in quanto conta; conta i like, calcola i “mi piace”, milioni, decine di milioni, a prescindere da questioni di senso e identità.
La presunzione della consistenza della quantità è illusione di sempre, tipica anche della nostra era, lo mostrano le cronache ma anche la popolarità dei big data (big, appunto, non right) e della stessa espressione “intelligenza artificiale”, come se qualcosa basata su un algoritmo statistico potesse appartenere all’ambito proprio dell’intelligenza.
Nella sua nuda rotondità l’uovo svela l’illusione: non basteranno tutti i like del mondo a rendere all’uovo la sua autentica essenza (che non è quella, sia pur notevole, di finalizzarsi in frittata!); l’uovo, non possiamo dimenticarlo, è disegnato per diventare pulcino, e per nutrirlo. L’uovo è disegnato per trascendersi, lasciandosi i numeri alle spalle come i frammenti del guscio sbriciolato. Tutta roba di qualità, che piaccia o no.