Non siamo più soli. Non possiamo più essere veramente soli. Non riusciamo più a stare da soli. È impossibile né lo vogliamo più veramente. Questo devasta il nostro senso dell’infinito.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle … accidenti, il suono di una notifica; se ne è andata la nostalgia dello sconfinato.
M’illumino di immenso … e si illumina anche lo schermo per una chiamata dell’ennesimo call center, un’altra mattina andata senza gloria e senza fremiti da incommensurabile.
Simeone di Siria passò 37 anni in cima a una colonna, evidentemente trovò qualcosa che riempisse quel silenzio; o trovò che il silenzio stesso fosse degno della sua vita. Noi non riusciamo più a passare pochi minuti stando per conto nostro. Il rumore come manichino della vita.
Ho provato, e anch’io sono vittima di questa follia; nelle poche situazioni in cui mi ritrovo con niente da fare (giusto per qualche minuto, si intende, e più che altro per caso) invece di abbandonarmi alla noia, la divina madre della possibilità, invece di guardare cosa mi sta intorno, per vedere se scopro un bel sorriso, un nuovo posto dove prendere un caffè o la natura del reale, invece di … la mano compulsivamente corre alla tasca, estrae l’aggeggio, schiaccia, strofina, compone il codice di sblocco per perdersi dietro l’ennesima notifica che promette molto e non mantiene niente.
Pare che tutto ciò non avvenga per caso, o per colpa della nostra pigrizia. Nel 2005 tale BJ Fogg elaborò il concetto di “Behaviour Design” cioè di disegno, progettazione del comportamento. Avete capito? il nostro comportamento si può progettare. Già nel 1998 a Stanford aveva fondato il “Persuasive technology lab”. Il laboratorio di tecnologia per la persuasione. Le mie scelte, le mie preferenze, ispirate da un computer. Delle sue classi a Stanford si ricorda quella del 2007; 75 studenti che poi decisero di usare quello che avevano imparato per migliorare il mondo, rendere le persone più attente e amorevoli … [risata fragorosa] che poi finirono a disegnare i prodotti di Google, Facebook et similia.
Non c’è più possibilità di silenzio. Ho provato a stare in cima al mondo, deserto, oceano o montagna, di fronte a panorami che sapevano d’infinito, in luoghi vasti e sperduti, visioni inesauribili, silenzi smisurati, cellulare rigorosamente spento, anzi lasciato in tenda per non disturbare il ritmo, i profumi di terre esotiche e lontane. Niente da fare; potevo contare i secondi prima che trillasse la suoneria del compagno di contemplazione, a portare la voce della mamma, dell’amico, della suocera, la banalità che irrompe, che violenta il silenzio, che rifiuta di stare al suo posto, il quotidiano, per conquistare il regno dell’inconsueto, del diverso, dell’inedito.
La vittima di tutto ciò è lo stupore, la terza dimensione della nostra umanità, quella che ci impedisce di essere figure geometriche piatte e bidimensionali. Nell’epoca che inneggia alla diversità, tutto viene mangiato e digerito dentro un bolo insipido fatto di faccine e hashtag. Ci passasse vicino il Signore Iddio, non ce ne potremmo accorgere. E forse è proprio così.
Caro Alessandro, grazie per questa interessante riflessione. Io sinceramente non credo che siamo fatti per stare soli. I bambini che non riescono ad instaurare un attaccamento sicuro sono condannati ad una vita difficile. Siamo pieni di circuiti dai neuroni a specchio in giù fatti apposta per la socialità. E se la storia di Simeone è giunta fino a noi, probabilmente è perché anche per la sua epoca era un caso isolato (!). Penso solo che la tecnologia abbia dato un nuovo vestito a comportamenti vecchi come il mondo, e che per una specie di nemesi storica quelli che sono fuggiti dalle piccole comunità dove tutti sanno tutto, hanno poi ricostruito delle comunità globali dove tutti sanno tutto. Fatta questa debita premessa, io sono riuscito a ritagliarmi dei piccoli spazi di solitudine: faccio lunghe passeggiate in montagna, ho fatto un corso di mindfulness, e dedico venti minuti al giorno alla meditazione in silenzio. E una volta anche un intero weekend. Piccole dosi, ma assai benefiche. Quando vuoi ti racconto!
Caro Stefano, concordo con te, l’uomo è animale sociale, come già diceva Aristotele. Però come si dice, se non sai stare bene con te stesso non stai bene neanche con gli altri. Il rumore di fondo causato dal cattivo uso delle tecnologie rende difficili i momenti di raccoglimento come quelli che descrivi; il rischio è che ci esauriamo nel momento, ci convinciamo che la nostra individualità sta tutta nell’atto, nel messaggio, perdiamo la capacità di conoscerci anche come “oltre”. Chi ti conosce conosce anche la fiducia e la consapevolezza che esprimi: buona meditazione ☺️