La terra di mezzo

Così si parlava con i computer, altro che riconoscimento vocale!

C’è poco da dire, sono un immigrato digitale. Sono nato e cresciuto nel mondo prima di Internet, prima degli smartphone, prima dei PC. Quando già avevo parola e consapevolezza, i miei occhi guardavano una realtà molto diversa da quella di oggi: un singolo computer occupava stanze intere, veniva istruito facendogli ingollare fogli bucati (davvero, non scherzo!) e compiva operazioni rudimentali, se paragonate alla potenza di un odierno cellulare di fascia bassa. Come il Ponchia nel Marrakech Express di Salvatores, ricordo la televisione in bianco e nero di Belfagor e Rin Tin Tin; niente giochi elettronici per divertirsi, da bambino; niente intelligenza artificiale, si faceva con quello che c’era. O che non c’era, come adesso, se parliamo di intelligenza.

Bei tempi? A un certo punto mi sono convinto di essere nato nel momento sbagliato, troppo tardi e troppo presto allo stesso tempo.

Quando ho iniziato a lavorare ed ero un giovane lupacchiotto avido di conoscenza, successo e carriera, mi si diceva che anche se lavoravo più dei compagni di stanza, producevo di più e portavo più risultati, in confronto a loro mancavo di “esperienza”.

“Ma che c’entra? Lavoro più degli altri, porto più risultati e produco di più. A cosa serve l’esperienza, allora?”.

“Lo chiedi proprio perché non ce l’hai! Quando ce l’avrai, lo saprai. Intanto porta pazienza e te la farai, l’esperienza”.

Quando poi un po’ di esperienza iniziavo a farmela, nulla di che, ma quanto bastava per dire la mia, essere ascoltato e portare a casa qualche soddisfazione, è partito il boom di Internet.

… e questo era Internet

Già allora avevo una grande curiosità e  interesse verso la tecnologia, e subito ho capito (a differenza dei molti che erano scettici e pensavano fosse solo una moda) che quella cosa lì avrebbe cambiato il mondo. Era il 1994, conservo ancora la ricevuta dell’iscrizione a Galactica, uno dei primi ISP. Ancora non c’erano i browser con interfaccia grafica, poi è arrivato Mosaic e io già navigavo, surfavo, anche se c’era poco da vedere e i tempi per scaricare una pagina erano infiniti, cliccavi poi andavi a prendere un caffè e quando tornavi lo schermo si era colorato a metà.

Una enorme opportunità per molti; ma per quanto mi riguarda, avevo già compiuto i trent’anni ed erano troppi. Da un giorno all’altro, prima troppo giovane, poi troppo vecchio. Quelli che “ne capivano”, potevano attrarre investimenti e lanciare startup avevano 27, massimo 28 anni. Un 3 come prima cifra dell’età? Museo! In pochi mesi, mi sono ritrovato dal mancare di esperienza ad averne troppa.

Insomma, sono un po’ originario della terra di mezzo, uomo o hobbit ancora devo capirlo, catapultato in pochi anni in un mondo diverso a cavallo della mia età adulta, sospeso tra la nostalgia di quello che c’era e il fascino di quello che continua ad arrivare. I mondi descritti dai racconti di fantascienza che leggevo da bambino si sono tutti realizzati, anzi la realtà ha superato l’immaginazione, stingendosi però, perché la fantasia ha un sapore d’oltre e la realtà invece odora sempre di ordinario.

Chesterton scrisse che quello che perderà il mondo non sarà la mancanza di meraviglie, ma la mancanza di meraviglia. Il 2018 cavalca la sua buona dose di novità, blockchain, IoT, Industria 4.0, chatbot, intelligenza artificiale… L’esperienza non conta nulla, perché occorre rifarsela da capo ad ogni giro di giostra. Gli anni anagrafici non garantiscono più nulla, ad averli o a non averli, perché i “giovani” che ne dovrebbero capire, spesso sono utenti inconsapevoli, addirittura stupiti quando gli si racconta cosa sta dietro il carrozzone, delusi quando gli si spiega che nulla è gratis a questo mondo, tranne l’amore di mamma e papà.

Il mondo cambia ancora, adesso, del tutto; lo contemplo con la meraviglia di tanti anni fa, stupito e affascinato. La mia sfida è continuare a meravigliarmi, e non perdere mai la presunzione di voler capire.

Che posso fare, tu che puoi fare
se navighiamo in senso inverso in mezzo al mare
tu sei libeccio ed io maestrale
son sempre venti sì, ma non è uguale

e nessun porto mai ci vedrà tornare.

 

Photo credits: Wikipedia, attivissimo.net

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