Questa volta mi tocca essere serio: la parola “call center” infatti ha ormai una connotazione largamente negativa, e con buone ragioni. Non era però così all’origine, perché i call center nacquero come strumento di contatto innovativo ed efficace, per utilizzi commerciali o di servizio. Dalle stelle alle stalle.
C’era una volta
C’era una volta il one to one, l’a tu per tu, come luogo privilegiato dell’incontro con il cliente. Guardarsi negli occhi, stringersi la mano, complimentarsi per la foto della famiglia sulla scrivania, le chiacchiere sul calcio per rompere il ghiaccio. Vent’anni fa prese invece abbrivio una via indiretta alla gestione del rapporto commerciale. Tempi ottimizzati, operatori in formazione permanente grazie alla presenza nello stesso luogo di lavoro, tutti i dati a disposizione sul terminale, economie di scala, il cliente perde poco tempo, si risparmiano costi di trasferimento, pensate a un paese come l’Italia, che a misurarla in chilometri quadrati sembra più piccola di altre nazioni, ma che a volere stare sul mercato è lunga e larga, calda d’estate e fredda d’inverno, fatta di strade tortuose su per l’Appennino e di zone industriali nella nebbia. Insomma, il call center come un cloud ante litteram al servizio del rapporto con il tuo cliente.

Io stesso avevo vissuto in prima persona questa piccola rivoluzione. Parlo della metà degli anni ottanta, avevo ricevuto la responsabilità di gestire un call center di un centinaio di operatori ed ero subito partito per Inghilterra e Belgio a vedere come facevano i colleghi che avevano già anni di esperienza. Su quella base avevo impostato le attività con risultati sorprendenti per chi non ci credeva, e avevo approfondito le meraviglie tecnologiche che accompagnavano questo filone. Era stata l’occasione per esplorare l’utilizzo dei neonati sistemi CRM, ma anche per pucciare il naso in magheggi quali l’Interactice Voice Response, il predictive dialling, il call-back e via discorrendo. La tecnologia al servizio dell’efficienza e dell’accentramento produttivo.
Non c’era solo l’aspetto tecnologico a intrigarmi. Questi progetti potevano dare un nuovo protagonismo commerciale a risorse giovani, spesso donne, che anche se non avevano la possibilità o la disponibilità di passare la settimana lontano da casa per abbracciare un’attività commerciale sul campo, potevano fare la differenza dispiegando talento e motivazione, contribuendo al risultato aziendale e a volte o spesso bagnando il naso a colleghi con anni di one to one sotto le scuole delle scarpe.
Pare quasi strano dirlo, vista l’immagine attuale da sottoscala e sfruttamento, ma molti tra questi primi call center in Italia erano progetti importanti e innovativi, ci si conosceva tra addetti ai lavori, ci si incontrava ai convegni sull’argomento, che non mancavano, ci si rubava gli schemi incentivanti più efficaci. Già allora però allignava la mala pianta di chi vedeva nei call center una modalità produttiva da sfruttare con un approccio tipo polli in batteria. Usare la sostanziale indifferenziazione che viene dell’identità delle mansioni per fini di sfruttamento individuale. Se tutti fanno la stessa identica cosa, sono intercambiabili, e ciascuno di loro diventa debole nei confronti di chi gestisce la baracca.
I nostri giorni: lavorare in un call center
Fast forward, avanzamento veloce ad oggi. Dire che lavori in un call center è diventato sinonimo del fatto che ti devi accontentare, che sei a servizio, che fai parte della nuova classe operaia, del proletariato oppresso dei nostri giorni, anche se magari hai laurea e master in tasca; e a volte ti tocca pure andare a farlo in Irlanda. Non tutto, non sempre, ovviamente, come spesso succede lo stereotipo è ingeneroso. Ma se andate a guardare i film sull’argomento trovate cose tipo “Tutta la vita davanti” e “Fuga dal call center”, buona visione.
Nacquero forme di lavoro particolari, sancite da leggi e contratti o comunque tollerate. Si racconta di grandi call center, i più in vista, che per evitare di assumere gli operatori sostennero la tesi secondo la quale gli operatori stessi erano liberi professionisti, che dal call center affittavano postazione e attrezzatura per potere concludere contratti di servizio con i clienti finali; dunque, liberi professionisti a partita IVA con tanti clienti, invece di dipendenti del call center che offriva servizi a quegli stessi clienti stessi. Tutto questo riuscendo a non mettersi a ridere e evitando l’attenzione dei giudici del lavoro. Era nato l’operatore da call center come lo conosciamo oggi.
E i clienti?
Lato utente, se possibile, è andata ancora peggio. Io ho il massimo rispetto per l’operatore di call center che mi chiama alle ore più improbabili dall’Italia o dall’estero, con accento marcatamente regionale o straniero: lo dico sul serio, lo rispetto perché è una persona che lavora. Anche quando chiedo loro di non disturbare lo faccio sempre con cortesia. Ma come si fa a pensare che telefonare all’ora di cena per trovare a casa la gente significhi essere commercialmente efficaci? Che per sviluppare il mercato sia opportuno proporre all’infinito, in modo ossessivo, l’ennesima miracolosa tariffa telefonica (o la miracolosa soluzione ai problemi energetici della famiglia) fino a quando il cliente si sbaglia o si stufa o si arrende? Che agganciare appena il cliente risponde sia un modo legittimo di fare la quota di contatti giornaliera?
Il trucco

Ripeto, non ce l’ho con gli operatori, francamente sarebbe squallido. Ce l’ho con manager e imprenditori. Perché i responsabili di queste aziende usano un trucco subdolo: mettono davanti gli operatori, usano la loro faccia (la loro voce) per disturbarci nell’intimità della pace domestica. Loro invece differenziano la loro immagine, affidandola alle cure dei pubblicitari. In questo modo siamo portati ad attribuire il fastidio ai poveretti che vengono incentivati a sfinirci, mentre veniamo indotti a identificare il marchio dei mandanti con i culi & tette piuttosto che con i comici assortiti delle campagne pubblicitarie. E’ chiaro l’inganno? Inconsapevolmente, perché un’immagine vale più di cento parole e il sublimine è sempre in agguato, attribuiamo la negatività alle persone, mentre i marchi continuano a rifulgere nel loro pubblicitario splendore.
Le autorità sorvegliano, i call center registrano tutte le telefonate, una per una, per metterle a disposizione in caso di ricorso. Ma ci si occupa solo di cose tipo messaggi ingannevoli e rispetto della privacy. E’ tanta roba, ci mancherebbe, ma nessuno si occupa del sacrosanto diritto di cenare in pace, uno dei principi fondanti non dico della democrazia, ma della dignitosa esistenza da persone libere. Nessuno difende le famiglie dall’aggressione continua e sistematica a base di tariffa telefonate illimitate casa luce gas acqua energia Internet illimitata Internet senza fili Internet hot spot tutto compreso comodi pagamenti carta di credito zero costi di attivazione ILLIMITATO?
Come difendersi?
Insomma, avete capito qual è la mia tesi. Le possibilità tecnologiche offerte da strumenti nuovi sono state deviate e utilizzate in modo infecondo. Quello che poteva essere l’occasione per una crescita del livello di servizio e della soddisfazione del cliente è diventato un bombardamente commerciale basato puramente sulla quantità. Già, perché se poi effettivamente hai bisogno di qualcosa tu, il più delle volte devi cavartela con la vocina registrata e il “prema due e poi il tasto asterisco” (ma di questo parlerò un’altra volta. La telefonata del call center è ormai diventata una sorta di male necessario per la famiglia media italiana, ognuno ha elaborato la sua strategia per sfuggire, a casa mia fanno in modo di farli parlare con me, ho un trucco formidabile per non farli più chiamare, ma non ve lo svelo perché altrimenti si inflaziona, tanto prima o poi mi sgamano e mi uccidono di telefonate notturne. Nel frattempo, l’unica cosa illimitata è la mia irritazione. Perché, cari operatori telefonici luce e gas, ve ne prego, non chiamatemi: se proprio mi interessa, vi chiamo io.
Iscriversi al Registro delle Opposizioni è inefficace se lo scopo è quello di evitare “scocciature”; sono iscritto dalla sua istituzione senza risultato. Ho provveduto invece ad acquistare un telefono (Gigaset C620 costo circa 50 euro) dotato di black list che consente di “catturare” un numero limitato di utenze telefoniche che, una volta aggiunte, non saranno più in grado di chiamare trovando sempre la linea occupata. Purtroppo i Call-center sono molti di più. Quindi ho ripiegato sull’uso di una white-list di 15 numeri che sono “facoltizzati” a fare squillare il telefono di casa. Con tutti gli altri il telefono resterà in silenzio emettendo un sommesso toc-toc nel momento in cui il chiamante riaggancia. Da quel momento, la chiamata ricevuta sarà fra quelle “perse” e, nel caso interessi, sarà possibile richiamare. Sono molto soddisfatto. Ho ritrovato la pace.
Grazie dei suggerimenti, molto utili. Certo che davvero assomiglia a un assedio! Sono sempre convinto che le leggi non possano sopperire e al senso di civiltà e al semplice buon senso, altrimenti si finisce per penalizzare gli onesti mentre i furbi comunque trovano il modo di fare quello che fanno. Sono i vari operatori telefono acqua luce gas etc. che dovrebbero darsi una calmata, e basta. Che ne dite se iniziamo da un hashtag, tipo #bastachiamateacena? Vi viene in mente qualcosa di più breve e incisivo?
Nell’occasione ho dato un’occhiata al tuo blog, decisamente interessante, lo frequenterò volentieri 🙂
Qualche settimana fa mi hanno detto che attraverso il Registro delle Opposizioni http://www.registrodelleopposizioni.it se registri il tuo numero di telefono entro 1 mese nessuno venditore telefonico ti chiamerà. Io l’ho fatto ora attendo il risultato. Per ora mi chiamano ancora sempre quando ho “il boccone in bocca”. Chi la dura la vince. Ciao
Mi ero informato ma la procedura è complessa per cui mi sono arreso.
E poi non ha tanto senso che possano entrare in casa mia a meno che io non mi inserisca in un registro di quelli che vogliono scegliere loro chi far entrare in casa propria.
O no?