Cosa c’è di più analogico del festivalone nostrano? Gira il mondo gira, attorno al teatro Ariston, e nulla cambia. L’unica vera grande rivoluzione è stato il passaggio dal bianco e nero al colore e anche questo tutto sommato non ha fatto molta differenza. Tra l’altro il fascino del black & white di alcune vecchie registrazioni ha molto più appeal dell’alta definizione di oggi. LCD e plasma che soccombono al catodico.
Sanremo e il trash televisivo
Confesso di essere un patito di Sanremo. Che volete, ognuno ha diritto a un momento trash, giusto per ritemprarsi dalle fatiche dell’intelletto. Ogni tanto vale la pena prendersi una pausa e guardare il reality di turno, abbeverandosi alla fonte della stupidità, un sorriso ebete sul volto e una striscia di saliva che cola sul cuscino del divano. Quello che conta è ripartire poi, con una lieve sensazione di nausea, ma sempre più convinti a non dimenticare mai che provare a usare il cervello è faticoso (ringrazio chi si asterrà da facili ironie), ma che rinunciare a questa fatica significa abbandonarsi a un baratro immondo, un bicchiere pieno di luci e lustrini che al fondo ha il gusto della noia. Non dimentichiamolo: non c’è redenzione per chi dà il cervello all’ammasso del mainstream televisivo; l’esito inevitabile è l’oblio oppiaceo dei propri neuroni, che uno alla volta soccombono. Qualche ora di spazzatura ce ne convince nuovamente, e ci riconferma nello sforzo di rivendicare la nostra materia grigia. Sanremo dunque come ecologia della mente, sauna del cervello, SPA del buon gusto. Si suda e si liberano i pori dallo stordimento del “pop”.
Perle nel fango
In realtà poi c’è di peggio, e a volte il festival non è neanche così male. A ogni edizione, o quasi, capita di scoprire una gemma nascosta nel fango, che nel fango riluce ancora più splendente. Ricordo l’emozione di ascoltare Zucchero che nell’86 presentava Canzone Triste (per finire penultimo); Vasco che nell’82 cantava stralunato (e come se no?) Vado al Massimo e l’anno seguente ancora più stralunato Vita Spericolata (per la cronaca, la prima volta resta nel limbo dei non classificati, la seconda è nettamente penultimo); il giovane Bocelli che, lui sì, vince tra i giovani con Il Mare Calmo della Sera. E così via. Tutte queste perle, pur seppellite tra tante rime cuore-amore, soffocate dall’effimero, dal banale e dal melenso, restano come testimonianza della creatività, se proprio non vogliamo chiamarla arte, che con la qualità vince sempre e comunque sulla quantità.
Musica e tecnologia, gioie e dolori
Per Sanremo evoluzione tecnologica ha significato qualche anno fa provare a ricorrere a orchestre registrate e playback dei cantanti, un cattivo uso, possiamo tutti ammetterlo, del progresso. Poi per fortuna si è tornati all’orchestra dal vivo e alle voci vere. “Per fortuna”? Fino a un certo punto, perché le voci vere non sono sempre piacevoli. Quest’anno poi si è assistito al regno della stecca, in particolare, devo dirlo, tra i giovani virgulti usciti dai vari talent, X-factor, Amici e compagnia. A casa loro vengono osannati da ali di folla plaudenti mentre sedicenti esperti mascherati da giurati spendono per loro parole esaltate e sublimi. Ma il palco dell’Ariston sa altrimenti, perché negli anni ha assistito a tanta mediocrità. Il palco dell’Ariston non sa mentire e proprio tali li fa apparire, mediocri appunto. Anche se vincono grazie a operazioni di marketing ben calibrate, alla fine chi vuole ascoltare sente. Un esempio a caso? La “valletta” di quest’anno Emma (mi scuso per il termine “valletta”, che a mio parere andrebbe abolito come poco dignitoso per le donne, ma è la RAI che lo usa, e io riferisco) il festival lo ha vinto nel 2012, sull’onda del successo di Amici; ma l’anno seguente ha provato a mettere il naso fuori di casa e all’Eurofestival, che tra l’altro non è come dire il festival di Montreaux, ha fatto registrare il peggiore piazzamento italiano di sempre.
D’altro canto l’intonazione e la mancanza di intonazione, appunto la “stecca”, non sono delle opinioni: si possono documentare registrandole e analizzando digitalmente. Quello che i non addetti ai lavori non sanno e che è possibile anche correggere le stecche digitalmente, e in diretta, in tempo reale. Da qui tante prestazioni canore apparentemente inappuntabili. Canto stonato, ma il suono che arriva agli altoparlanti è corretto. Peccato però che a Sanremo certi marchingegni non si possano usare; la conseguenza è che la tonalità fluttua, si alza, sia abbassa, si rompe e si attraversa. Insomma, si stecca. Non preoccupiamoci troppo però; RE, Re diesis, MI bemolle, non ne facciamo una tragedia, l’importante è il televoto e il giudizio della giuria, popolare o di esperti.
No digital
Anche sotto questo punto di vista però il Festival è pervicacemente analogico. Quest’anno, per la prima volta, e parliamo del 2015, si poteva votare via web o via app. Quanti l’hanno fatto? non si sa. Se però pensate che la app di rai.tv su Google Play Store risulta scaricata da 27.336 utenti, numero che comprende ovviamente anche chi l’ha scaricata per altri scopi, abbiamo un’idea della marginalità di questo strumento.
A metà della prima serata, in piena astinenza digitale, mi sono rivolto a Twitter, che spesso a colpi di battute salaci rende interessanti anche trasmissioni loffie, provate per credere a seguire The Voice of Italy attualmente su RAI2 #tvoi. Nulla anche lì, noia mortale, perfino gli account solitamente più arguti non riuscivano a graffiare come si deve.
Dovremo tenercelo così, il festival, né sapremmo immaginarlo diversamente. Dura finché dura, forse per sempre, andremo su Marte e su Giove ma ogni anno il Festival sarà uguale a sé stesso, analogicamente immutabile, perché se uno sa resistere alla propria banalità sa resistere a tutto.
Un ricordo personale: Sanremo da piccolo
Vi lascio con il mio primo ricordo di Sanremo, Wilma Goich che canta Le colline Sono in Fiore accompagnata dai Christy Mistrels. La canzone è bella e regge al peso degli anni. Il mistero è che era l’anno 1965, io avevo un anno, e allora come faccio a ricordarmelo? Lo dico per i più giovani, non è che allora ci fossero videoregistratori o repliche. Ma se Sanremo non contenesse qualche piccolo mistero, non sarebbe Sanremo.