Una volta, comprare un bene o un servizio esigeva l’atto di uscire di casa per recarsi presso il mercato o il punto vendita. Poi è nata la vendita per corrispondenza, che evitava di recarsi dal commerciante, sostituendolo però con l’ufficio postale e con una complessa procedura fatta di cataloghi, cartoline e contrassegni. Grazie alle meraviglie di Internet, oggi si può comprare tutto (beh, quasi tutto) con pochi click, stando comodamente seduti in salotto.

In modo contro intuitivo, l’esplosione dell’e-commerce ha favorito il rilancio di business decisamente tradizionali, molto fisici, analogici. I corrieri non sono mai stati così bene, basta guardare quanti furgoni sono fermi in seconda fila in qualunque strada del centro di Milano. L’industria del cartone ha ricevuto anch’essa un notevole impulso, per l’esigenza di imballare gli oggetti da spedire. Anche l’attività di intermediazione bancaria ne gode: se vuoi comprare on-line, di carta di credito bisogno avrai. Da questo punto di vista tra l’altro l’e-commerce è un mezzo potenzialmente efficace per ridurre l’evasione fiscale; e forse questo è uno dei fattori che ne hanno limitato l’utilizzo in Italia.
Il nostro paese infatti è molto arretrato nel commercio elettronico. In questo senso, anche in questo senso, è molto “paese”. Quanto indietro? Per capirci, tipo un quinto del Regno Unito. Ragioni particolari? Nessuna, solo ottime scuse. Mentre all’esterosperimentano le consegne in un’ora tramite drone, dalle nostre parti si continua a fare la fila in posta e a sfondare le tasche con i portamonete da un chilo.
Questo è un peccato, perché l’e-commerce, parlando in generale, è una grande opportunità. Consente di accedere a prezzi competitivi perché è così facile effettuare paragoni tra fornitori diversi che la concorrenza diventa quasi perfetta, nel senso dell’economia classica, senza frizioni e totalmente trasparente. L’assortimento è praticamente illimitato e dunque le opportunità di scelta diventano enormi. Si risparmia tempo perché non bisogna prendere la macchina e impazzire nel traffico. Si arriva all’atto finale di acquisto avendo acquisito una competenza significativa sull’oggetto in vendita grazie alla possibilità di raccogliere informazioni sulle caratteristiche dei diversi prodotti (questo si chiama info-commerce e si applica sia agli acquisti on-line che a quelli off-line).
A ben vedere però l’e-commerce presenta anche delle contro indicazioni e se vogliamo degli aspetti negativi.
Il primo è che è così facile comprare che si finisce per comprare troppo. Arrivano notifiche e email con offerte speciali talmente incredibili, che ogni tanto si finisce per cedere e alimentare le scorte casalinghe dell’inutile e del superfluo. Forse è stato sempre così; tanto che la saggezza popolare sconsigliava dal mandare i mariti a fare la spesa da soli, se non dotati di una lista della spesa vincolante e tassativa, per evitare che tornassero a casa con dodici confezioni maxi di gelato al caramello, felici di avere approfittato di una offerta formidabile, totalmente inconsapevoli dei limiti delle dimensioni del freezer. Nulla di nuovo dunque, è che l’atto dell’acquistare on-line è così frictionless che dobbiamo ancora sviluppare degli anticorpi specifici.
Il secondo punto che viene addotto a carico dell’e-commerce è che si riduce il contatto umano. Personalmente non sono tanto d’accordo, perché non sempre i commessi e le commesse sono persone gentili ed interessanti, e tutto sommato se ho voglia di socializzare posso farlo anche in altro modo. Insomma, non sono un patito dello shopping, ma non è così per tutti.
In terzo luogo, ho parlato di mezzo potenzialmente efficace contro l’evasione. Ovviamente però servono regole adatte al nuovo ambiente. Dal primo gennaio la normativa UE sancisce che si applica l’IVA del paese del compratore. E’ un po’ più complicato di così, ma in sostanza l’idea è che anche chi opera dall’Irlanda e dal Lussemburgo, e non faccio nomi ma tanto li conosciamo tutti, inizi a pagare l’IVA come il negozio all’angolo. Sempre che il negozio all’angolo lo paghi, ma questo è un altro discorso e poi ho promesso di non buttarla mai in politica quando scrivo su questo blog. Mi limito a dire, come il Gattopardo: alla faccia della tecnologia, quando si parla di soldi, tout change, rien ne change. Per fare pagare a questi campioni dell’e-commerce anche le tasse sul reddito, tra l’altro, ci toccherà aspettare ancora.
Infine, devo introdurre una parola difficile, la “serendipity” ovvero l’arte di trovare quello che non stavi cercando. L’esempio migliore è il negozio di libri. Giri per gli scaffali, scopri gioielli piccoli o grandi che ti sfuggivano o di cui non sospettavi l’esistenza, esci più ricco (intellettualmente), hai scoperto e imparato qualcosa di cui non sospettavi l’esistenza. E’ vero, su Amazon e compagnia hai le raccomandazioni, basate sui gusti tuoi e su quelli di persone simili a te. Ma si tratta di un algoritmo, ha poco a che fare con il magico caso, il fato incantato che spinge la barca della conoscenza verso territori sconosciuti. Per definizione, se l’algoritmo è efficace, mi spingerà a consumare di più delle stesse cose che già si sa che mi piacciono. Quando non, se vogliamo essere maliziosi, di più di quello che conviene a loro. E non è la prima volta che invece di seguire i gusti delle persone, si cerca di influenzarli in modo che si adattino a una offerta economica e facilmente ripetibile. Il business della musica e il 90% dei programmi televisivi, purtroppo, lo stanno a dimostrare.