Questo è uno screenshot della home page del corriere.it di venerdì.
Più di metà della pagina è occupata da inserzioni pubblicitarie. Sono spazi che abitualmente non considero, non me ne accorgo, li escludo automaticamente dalla mia consapevolezza (li “scotomizzo”, per usare un termine tecnico). Questa volta però avevo bisogno di cliccare il mouse su un’area libera per escludere una funzione, e di aree libere ce ne erano pochissime; ovunque spostassi il topino c’era un link. Dopo qualche secondo di ricerca ho preso coscienza della situazione e mi sono sentito … circondato.
Non ce l’ho con il Corriere in particolare, anche se c’è in giro la storia che quando il Direttore De Bortoli ha visto la nuova versione del sito anche lui abbia chiesto “ma le notizie, dove sono?!?”.
Ce l’ho con la pubblicità a interruzione, quella che si frappone tra me e le cose che voglio fare o vedere.
Nata forse con gli strilloni negli intervalli degli spettacoli teatrali, cresciuta con la radio, è esplosa con la televisione, dove complice il crollo dei prezzi della pubblicità ha raggiunto ai giorni nostri livelli di vero e proprio stalking. Oramai non è inconsueto assistere a due spot identici all’interno dello stesso break. Come dire, se la prima volta eri distratto, questa volta ti becco; se invece già l’hai vista e sentita, te la insisto dentro a martellate.
Infine, ha contaminato anche il web, a colpi di pop-up, interstiziali, video, native advertising e infiltration marketing.
Il cittadino si difende come può. Da decenni il telespettatore utilizza con efficacia il telecomando, anche se essere costretti a uno sterile zapping di cinque o sei minuti ogni mezz’ora è un po’ come il marito che per fare dispetto alla moglie si martellava i gioielli. Anche il navigatore prova a difendersi: appena parte il video indesiderato, apre un’altra finestra e fa altro finché può finalmente tornare a godersi quello che stava cercando.
Ma è diventata una guerra e per ogni tentativo di difesa si inventano nuove armi di offesa.
Le reti sorelle (e a volte, ho l’impressione, anche quelle concorrenti) sincronizzano le pubblicità per cui anche a cambiare canale si ritrova lo spot della tariffa illimitata; sul nuovo MySky la visione del film registrato è preceduto dallo spot delle scommesse, mentre viene disabilitata la funzione di avanzamento veloce; finestre enormi si aprono improvvise al furtivo passare del mouse, il topolino si spaventa perché assalito dalla polizza risparmio e non osa più muoversi; sto scrivendo a tarda notte complice l’insonnia, ho controllato un sito di news per sapere cosa aveva deciso l’esecutivo del PD (ma sì, una di quelle cose che uno fa alle tre di notte) ed è partito a tutto volume un video su orologi di marca che poco poco svegliava anche la signora del piano di sotto che si veglia presto tutte le mattine perché ha il negozio.
Si dirà, è il prezzo dei contenuti gratis, vuoi contenuti e servizi senza pagare, goditi la pubblicità, bellezza. Ma allora perché ogni gennaio pago il canone e ritrovo la pubblicità su tutte le reti Rai del digitale terrestre? E cosa mi dite di Sky, che pago, accidenti, profumatamente tutti i mesi, e alla fine della partita devo aspettare un buon quarto d’ora per vedere se la D’Amico quando intervista Buffon gli da del tu o del lei? Internet gratuita? Con quello che pago tra smartphone, tablet, abbonamenti per connessioni mobile e ADSL domestica, ormai è un pezzo rilevante del budget familiare. E tutte le informazioni che prendete su di me, per cederle a aziende o governi, con la scusa che servono per migliorare l’esperienza utente?
La verità è che non è questione di costo, ma di stile. Può esistere una pubblicità garbata, che chiede il permesso, che cerca di parlarmi di cose che mi interessano, che non esagera in spazi e tempi, che a volte mi informa, a volta mi diverte, che non punta solo sulla ripetizione ossessiva del messaggio, su culi & tette (mi è scappata, ma questa aumenta il SEO, gli esperti di motori di ricerca mi capiranno, ci ho provato anche con il titolo e adesso vediamo gli accessi al blog) o sul testimonial famoso per quanto improbabile, precipitato dal ballo con i lupi alla scatoletta di tonno. A proposito, Kevin, pentiti, in fretta! Ormai le impiegate staccano i tuoi poster dalle pareti dagli uffici!
Le nuove armi dell’adverting hanno provocato una deriva pericolosissima, una guerra senza più regole né confini a danno dei consumatori. Ma scherziamo?!? Usare le armi della tecnologia per trovare sempre nuovi modi di farmi vedere quello che non voglio vedere e impedirmi di fare, per un secondo o un minuto, quello che voglio fare?!? Non si deve prendere in ostaggio il tempo dei cittadini, solo perché se ne ha capacità e facoltà. Cari pubblicitari, avete due possibilità: o mi parlate di cose che mi interessano in modo diretto e specifico, oppure mi parlate di cose che non mi interessano, ma lo fate in modo originale, interessante e divertente. E comunque, senza esagerare, perché come diceva Gordon Gekko, la vera variabile scarsa è il tempo, neanche i soldi, e io non ho più voglia di sprecarlo. Dovrete sforzarvi, ma non è impossibile. Pensate un po’, ci riuscivano già ai tempi di Carosello.