Non ricordo più chi me l’ha raccontata e non sono riuscito a verificare questa storia, per cui ve la vendo così come l’ho ricevuta.
Pare che le abitudini alimentari delle persone, in particolare le nuove generazioni, stiano cambiando in ragione dell’utilizzo sempre più frequente di alimenti molli, ad esempio il pane, quello per capirci utilizzato per gli hamburger.
Il pane molle, a differenza del pane croccante, si mastica più facilmente e può essere inghiottito velocemente, ingurgitato per così dire prima di essere triturato per bene. Con il tempo il palato si abitua facilmente a cibi più morbidi che richiedono meno sforzo per essere assimilati e riceve con fastidio il pane tradizionale, croccante. Immaginate lo stesso approccio applicato a tutti gli alimenti; si finisce per ricevere in bocca un blob pastoso che sa un po’ di tutto e un po’ di niente; si mangia di più per gustare di meno.
L’obiettivo finale è farci mangiare tanto quasi senza accorgersene, evitando sapori aggressivi e caratterizzati che per essere tipici dovrebbero avere una identità precisa e di conseguenza finirebbero per risultare discriminanti. Al consumatore perfetto va bene il pastone indistinto, si accontenta della media, assume tutto e non butta via niente, anzi butta via un sacco di roba ma questa è un’altra storia, tanto l’ha già pagata.
Una identica sorte sembra toccare ai contenuti, che siano quelli televisivi e cinematografici, letterari o musicali, che siano digitali o analogici. Su schermi e riviste predominano le tinte stinte, le prese di posizione relative, le opinioni e i secondo me, i personaggi scialbi e le melodie che domani sono già dimenticate. I buoni sono melensi, i cattivi non lo sono mai fino in fondo, i personaggi storici perdono spessore, risolti nel racconto sempre simile a sé stesso dell’amorazzo o dell’amorino di corte. Non si parla di scelte di vita, le ideologie sono bandite e suonano ormai come una parolaccia. La sinistra assomiglia alla destra, i falchi di stamattina sono le colombe di stasera.
Il gusto predominante di questi contenuti, il collante degli ingredienti, è l'”emozione”, continuamente invocata, criterio di giudizio e giustificazione universale. Prestate attenzione e registrate quanto spesso viene ripetuta questa parola nei talk e nei talent: “non mi dai emozioni”, “ho provato una forte emozione”, “non so spiegare questa emozione”, “dimmi le emozioni che stai provando in questo momento”. L’emozione sempre più spesso viene chiamata a sostituire il pensiero. Il pensiero è difficile e faticoso, richiede analisi e preparazione, costringe a scelte discriminanti. L’emozione va bene per tutto e per tutti, ognuno ha la sua, alla fine sono un po’ tutte uguali, vanno e vengono, quando ci sono ci assorbono completamente, quando non ci sono se ne conserva un vago ricordo, uno stream of consciousness che assomiglia alla lattuga con la maionese sulla svizzera.
L’emozione è talmente predominante che sembra avviata addirittura a sostituire l'”amore”, che in fondo anche quello è un’emozione, parola che nel passato imperava declinata in mille forme, una parola passpartout, ma ormai apparentemente avviata verso il declino.
Questo per i media tradizionali. E il mondo digitale? Il moltiplicarsi dei canali, degli spazi e delle forme di espressione ha promesso e continua a promettere molto. Ovviamente in rete si trova un po’ di tutto, ma la speranza è che trovino spazio anche pensieri forti, convinzioni solide e motivate, punti di vista informati e competenti. E’ davvero così? Ogni tanto getto uno sguardo alla classifica dei trending topic di twitter, e c’è poco da festeggiare. Si parla sempre del personaggio televisivo o del cantante del momento, un mediocre che tra pochi anni finirà in un servizio di “Meteore”; di calcio, sempre e comunque; e di politica, ma solo perché la politica assomiglia sempre di più al calcio, con i tifosi schierati da una parte o dall’altra. Stasera si festeggia tale Lali Espòsito, si attende con grande emozione il 15 marzo (“un 15 marzo qualunque diventa speciale grazie a lei”), non chiedetemi perché, non mi interessa.
Per quanto mi riguarda, a me piace il pane che si mastica: michette e francesini, ciabatte e pane di Altamura, brazadei e filoncini, rosette e carasau, pan gial e buscel di fich. Lo ammetto, questi li ho trovati su Internet: c’è spazio per sperare, uno stato d’animo che ha il sapore e il profumo del pane appena uscito dal forno.
Concordo pienamente con te sulla preoccupante tendenza all’omologazione che ormai pervade tutto (anche le differenze tra uomini e donne e tra vecchi e giovani; in controtendenza solo la differenza tra ricchi e poveri). La mia impressione è che nel mondo digitale, nonostante le potenzialità astratte, i pensieri forti, le convinzioni solide e motivate, i punti di vista informati e competenti non riescano a trovare spazio perché schiacciati da un lato dalla sbobba informe e insapore (ma morbida, ipocalorica e digeribile senza troppo sforzo) di cui parli tu, dall’altro dai sapori troppo forti, dal rancido, dall’eccessivamente piccante delle polemiche ottuse, delle prese di posizione immotivate, degli insulti, degli estremismi di ogni tipo. Da una parte c’è un bianco frizzantino privo di carattere, dall’altra l’antigelo al metanolo: se offri del barolo passa inosservato o non vieni compreso dai fruitori dell’uno o dell’altro, e rischi che venga mischiato, appunto, con l’uno o con l’altro. Basta vedere i forum dei lettori sui siti dei principali quotidiani: qualsiasi argomento è pretesto per prese di posizione radicali, contrastate da prese di posizione uguali e contrarie, tute contraddistinte da una assoluta acriticità, a una comprensione approssimativa dell’articolo ugualmente approssimativo che ha scatenato la reazione e una competenza grammaticale e sintattica inversamente proporzionale alla veemenza dell’esposizione. Gran parte dell’originalità e della novità della comunicazione digitale sta nell’accessibilità, nelle potenzialità di uno scambio aperto veramente a tutti, ma il pensiero forte, la convinzione solida e motivata, il punto di vista informato rischiano, non appena consegnati alla rete, di finire sepolti sotto gli insulti dei tifosi di ogni parte, delle vestali del politicamente corretto (così attente a che nessuno venga offeso, tranne chi non la pensa esattamente come loro), dei cacciatori di streghe, di quelli che non hanno capito, di quelli che hanno voluto capire un’altra cosa, di quelli che avrebbero anche capito e commentato in modo proficuo e stimolante ma non vogliono esporsi. E così le potenzialità della comunicazione digitale rimangono a disposizione di quelli che intendono diffondere contenuti non forti ma eccessivi, dei complottisti, degli estremisti, dei fanatici, degli spacciatori di tutta quella robaccia che tra l’altro, in mancanza di veri contenuti forti, di prese di posizione solide, rischia di venir scambiata, da chi è poco attrezzato, proprio per contenuti forti e prese di posizione solide.