Questa estate, dopo avere provato alcune alternative tra cui Spotify, ho iniziato un abbonamento pagato a Google Play Music, pochi euro al mese per avere accesso a tonnellate di musica di tutti i generi. Ho scelto questo servizio tra gli altri per una leggera convenienza di prezzo (di questi tempi, tutto fa) e per il valore di integrazione con il resto delle piattaforme che uso, spesso basate sugli standard Google e Android.
Sono un grande appassionato di musica ma non ho mai comprato tanti CD. Che ci crediate o no, non ho mai scaricato musica illegalmente per cui ha pesato l’investimento necessario a formare una  discoteca di volume. Inoltre, non ho mai tanto tempo a disposizione, e tutte le volte che compravo un CD mi sentivo obbligato ad ascoltarlo almeno tre o quattro volte, il che limitava il numero di acquisti di cui ero in grado di usufruire.
Adesso posso provare ad ascoltare quello che voglio, guidato da conoscenza, istinto e curiosità . Se quello che assaggio non mi piace, lo lascio lì, altrimenti lo posso salvare nella mia libreria (discoteca), scaricare sul disco fisso, ascoltare da qualunque device più e più volte.
Per come sono fatto, ho scelto un approccio sistematico a tanta grazia: afferrato il “Dizionario del pop-rock” di Enzo Gentile ho iniziato a scorrerlo per evidenziare e poi di conseguenza affrontare gli album a cinque stelle, uno a uno, in rigoroso ordine alfabetico per nome dell’artista. Sono arrivato agli Allman Brothers, non ho fatto calcoli ma di questo passo il mio fornitore può contare su un paio di anni di abbonamenti a mio nome!
Vantaggi? Sto mettendo insieme una cultura musicale, appunto, enciclopedica, a prezzo contenuto. Colmo lacune più o meno evidenti nella conoscenza dei generi e delle ere; scopro tesori finora nascosti; approfondisco la conoscenza delle cose che mi sono sempre piaciute: “the world at my fingerpints”, mi sento il mondo (musicale) in pugno. Penso agli amici che hanno speso fortune nella costruzione di formidabili discoteche: posso raggiungere lo stesso risultato per 6,99 al mese.
E’ proprio così? A parte il fatto che ora che arrivo agli ZZ Top potrei essere vecchio e sordo,  c’è ancora qualcosa che mi sfugge, un valore che mi elude. Qualche anno  fa ho letto il libro “L’era dell’accesso”, in cui Jeremy Rifkin prevedeva che in un futuro non lontano non si sarebbe più “comprato” nulla, si sarebbero sottoscritti abbonamenti per l’accesso a esperienze. Quello che allora era il futuro è adesso, è qui!
Eppure qualcosa mi manca: non sono più i “miei” CD, le mie canzoni, la mia musica. La musica è arte, è cultura, e l’uomo è un animale che vive di simboli, per comprendere deve prendere, possedere. Per assimilare le opere dell’ingegno deve manipolarne il simbolo oggettivo, fisico, per sentirlo come suo, come parte di sé in quanto quell’opera ha influenzato il suo modo di essere, le sue motivazioni, il suo modo di rapportarsi con il resto del creato. L’uomo è ciò che mangia, come diceva quel tale. Quello che sta nella nuvola non sarà mai veramente mio, risentirà di una connotazione effimera che stride con il valore che rende disponibile. Insomma, quando si parla delle opere dell’ingegno, il contenitore è necessario al contenuto.
Non dico che sia necessario rinunciare a quello che abbiamo adesso per tornare magari addirittura al vinile, sarebbe ridicolo; ma c’è qualcosa che va aggiunto alla formula attuale per completarla.
Bene, adesso vado ad ascoltare “‘Bout changes ‘n’ things” di Eric Andersen, un grande album: per Natale voglio arrivare alla C!
Complimenti per l’articolo. Molto interessante. Continuate così, io sono un assiduo lettore!
Grazie Fedele, effettivamente è un po’ di tempo che non posto, adesso ci rimetto mano 🙂