A scanso di equivoci, no, non ci ho mai giocato, preferivo di gran lunga i soldatini, le scorrazzate in bicicletta e le interminabili partire a calcio in cortile.
Sto piuttosto alludendo ai “Big Data”, una delle pietre fondanti del modo in cui le aziende devono affrontare il passaggio al loro “vivere social”. Ne scrivo a seguito della mia partecipazione al “Digital Intelligence Big Data Forum” organizzato da ICT4Executive lo scorso martedì. Un appuntamento interessante e ben organizzato, impreziosito dall’intervento di Carlo Ratti, uno degli italiani che “ce l’hanno fatta” oltre Atlantico, dal Politecnico di Torino a Direttore del SENSEable City Lab del MIT di Boston, mente brillante, affascinante e visionaria che ci ha offerto uno scorcio di come questo approccio ai dati può cambiare il modo e il mondo in cui viviamo.
Per il resto, ovviamente e come in tutte queste occasioni, interventi di diversa varietà, più o meno commerciali, più o meno a ribadire cose ovvie piuttosto che a segnare strade effettivamente innovative. C’è parecchio di antico in questo nuovo approccio; ricorrono ancora termini come Business Intelligence e Data Warehouse, su cui si sono fatte le ossa i manager che come me hanno impattato in azienda negli anni ’90.
Ma c’è tanto di nuovo, nuovi vocaboli, nuovi ambienti, nuovi strumenti (Hadoop ormai fa parte delle parole chiave che si buttano lì nelle feste per dimostrare di capirne) e dunque nuova tecnologia, un gergo nuovo, concetti che sfidano il senso che era comune (la lettura delle tabelle per colonna ?!?). Forse per questo i casi aziendali erano un po’ poverini, l’innovazione come sempre fa fatica a farsi strada nei contesti avversi al rischio, vale a dire abituati alla vecchia regola del gioco di derivazione calcistica: “primo, non prenderle”.
Tra tante citazioni ce ne è una chiave, anche se scherzosa. L’ha fatta lo stesso Ratti (mi spiace, l’autore originale da lui citato si è perso nei miei appunti), ricordando che “Big Data è tutto quello che non entra in un foglio Excel”. Significa che se per accostarci ai Big Data dobbiamo aspettare di fare macro analisi dei comportamenti di massa sui social network, finisce che lo fanno solo Google, Amazon e pochi altri. Big Data è per tutti perché è un nuovo ordine concettuale, che insegna che per dare valore all’impresa occorre partire dai dati relativi agli utenti, al mondo che sta là fuori. E siccome questo è tremendamente complicato e complesso (nel senso di multiple variabili interagenti secondo percorsi non lineari etc.), ci soccorre con un armamentario ormai sufficientemente sviluppato di strumenti e mezzi.
Dopo di che non basta il nuovo ordine concettuale, ovverosia avere capito e deciso, occorre studiare e approfondire. Cosa che proverò a fare nei prossimi giorni, troverete nel menu del sito una nuova sezione “Guide di riferimento” in cui pubblicherò una lista di link interessanti sull’argomento. Insomma, ci provo.