Falsi d’autore

Falsi amici su Facebook, falsi follower su Twitter, falsi clic sul pay per click. Si paga (poco, per la verità, tipo venti dollari per mille teste) per generare traffico fasullo da monetizzare (sempre poco perché ormai i clic te li tirano dietro, ma insomma un po’ di più di quello che ti costano).

Nulla di nuovo sotto il sole, anzi tutto nel solco di un’antica tradizione nata nel mondo della carta; o dovremmo davvero credere all’incredibile numero dei lettori per copia che sempre è stato dichiarato? Recentemente poi si è assistito all’autentico sovvertimento delle leggi della fisica per cui all’ormai ineludibile quanto massiccio calo del numero delle copie è corrisposto un più che proporzionale aumento dei lettori medi, in modo da generare quasi magicamente un aumento dell’audience! Prima di ora ci era riuscito Uno usando, mi pare, pani e pesci,  ma è successo tanto tempo fa …

Qualche tempo fa sono stati ufficializzati i risultati di un sistema di rilevazione dell’audience della radio sorto sulle ceneri di Audiradio. Simpatica la presentazione e le dichiarazioni a margine dei protagonisti; praticamente chi ne usciva male contestava merito, metodo, risultati; chi ne usciva bene plaudeva al faro che finalmente si accendeva sulla verità. Stupendo! Il punto che mi interessa però è che le graduatorie venivano sovvertite rispetto alle indagini precedenti; e dico sovvertite. Escludendo l’ipotesi che in pochi mesi siano drammaticamente cambiate le abitudini di ascolto, delle due l’una: o erano sbagliati i dati precedenti, o lo sono questi. Tertium non datur. Ma allora, se io fossi un investitore pubblicitario, mi incavolerei, perché mi viene il dubbio di avere buttato via i soldi per anni. E’ successo? Mi sono perso qualcosa? Non mi pare: d’altro canto mi sono sempre stupito alla vecchie presentazioni UPA di ascoltare espressioni compiaciute quando il mercato degli investimenti  cresceva; ma come, io sono un investitore e sono contento di pagare di più di prima? Mah …

E’ uno strano mondo, quello della pubblicità; dopo tutto è il mondo dell’immagine, anche nel senso che a volte l’immagine rischia di distinguersi dalla realtà. E non c’è bisogno di scomodare Séguéla, guru della comunicazione e aspirante pianista in un bordello, per intuire certe logiche. D’altro canto, tutto sommato, un po’ più un po’ meno il sistema ha funzionato, le marche sono state rese popolari, gli scaffali hanno ruotato, insomma il bilancio di tanti anni alla fine è positivo.

Internet però … Internet era nata con la promessa dell’oggettività. Del traffico misurato scientificamente. Del ti posso dire chi, quando, per quanto tempo ha visto il tuo prodotto, ha cliccato sulla tua offerta, ha piaciuto (liked, sorry) la tua pagina. Del paga per performance, cioè pagare doblone vedere cammello, senza metà dell’investimento pubblicitario che butto via ma non so quale metà (*), perché ogni singolo penny va a segno, entrambi i mezzi penny. Mi viene un dubbio: non è che il rovinoso, spaventoso, autolesionista calo del prezzo che si paga per l’attenzione dell’utente in linea sia segno di una chiara coscienza che non si sta vendendo veramente quello che si dice e si presenta?

(*) ogni volta che vedo citata questa frase è attribuita a un personaggio diverso, qualcuno per favore può fornire una interpretazione autentica?

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