E’ finita l’era del ‘good enough’

E non la rimpiangerò. “Good enough” significa: lancia, proponi quello che hai al momento, non importa se ha dei difetti, basta che sia “buono abbastanza”, poi se funziona, se piace, provvederai a perfezionarlo in seguito.

Nasce come versione internettiana del “shoot first ask questions later” (prima spara poi chiedi chi è) che incarna lo spirito della frontiera, quella geografica del selvaggio west e quella tecnologica dei firmamenti della rete. All’interno delle aziende, negli ambienti di sviluppo software, si incarna nell'”agile development”, un approccio alla programmazione che consiste nel fornire il prodotto a pezzettini, una continua iterazione con il cliente interno o esterno: “va bene questo pezzetto di applicazione?” “no accidenti” “ok ok lo rifaccio” ” ma quand’è che mi dai quello che mi serve?” “noi adottiamo l’agile development (tra l’altro si pronuncia egiàil, gnurant)” e così via. Più recentemente il good enough conosce una nuova giovinezza grazie al movimento “lean startup” dove addirittura viene teorizzata e diffusa la pratica  di offrire prodotti che non esistono, per vedere di nascosto l’effetto che fa. Geniale! Vengo anch’io? No io no.

La logica del ‘good enough’ nasce dall’esplosione delle infinite possibilità offerte dalle tecnologie di rete; talmente fantasmagoriche da sfruttare ogni novità, ogni idea così com’è, senza aspettare che venga tornita e perfezionata. Godiamocela nella sua primitiva inadeguatezza, basta che funzioni in qualche modo, anche approssimativo. E’ la ragione per cui tanti scaricano film registrati direttamente nelle sale ciematografiche, anche se chi riprendeva aveva il delirium tremens e il vicino di poltrona tirava su con il naso tutte le volte che c’era un dialogo romantico. Un salasso, un debito, un disturbo, ma è “good enough”. Quanti programmi continuiamo a scaricare sul telefonino, per subire un crash dopo pochi minuti? a quanti network ci abboniamo, per assistere alla furia con cui si permettono di cambiare le regole per l’uso delle nostre informazioni  ogni qual volta gira il vento? quante persone cambiano cellulare ad alzo zero, senza un domani, basta che sia la versione due, tre, quattro, cinque … ancora ieri in quanti hanno fatto la fila per spendere un pacco di soldi in qualcosa che, diciamolo, più o meno (appunto, più o meno) fa le cose che faceva il modello precedente? Il good enough è l’apoteosi della liquidità del consumatore moderno, reso (quasi) onnipotente dal volume insopportabile di applicazioni liberamente scaricabili – 700.000, al’ultima conta. Una bulimia che non sopporta pazienza e limitazioni, la frenesia di provare sempre qualcosa di nuovo e di “avanti”, anche se non funziona proprio bene bene.

Poi è arrivata la crisi a fare giustizia, la crisi che abbatte i PIL, deflagra la disoccupazione e mette fine a tante piacevolezze cui eravamo abituati. Altro che ‘buono quanto basta’, se devo proprio spendere allora voglio il meglio che c’è in giro, anzi di più, deve rispettare le mie precise esigenze e deve funzionare perfettamente. La concorrenza è spietata e ogni giorno è peggio, le stesse infinite possibilità offerte dalla rete adesso giocano in senso contrario; le cose belle, speciali, innovative, con il giusto rapporto prezzo qualità, insomma le cose normalmente ok non bastano più. L’asticella è più alta, si pretende l’eccellenza. Lo constato ogni giorno nella mia vita professionale. Prima bastava fare le cose bene per avere successo e molte cose venivano offerte e acquistate perché si sapeva che andavano fatte. Adesso il livello di qualità tradizionale non sortisce più alcun effetto, diventa di colpo inefficace, non funziona più. Bisogna tornare sul lavoro appena completato, aggiornarlo, curarlo, metterci qualcosa di più e qualcosa di meglio. Dò una botta a un determinato compito, e non succede niente. Mi concentro, lo curo come non mai, e solo allora qualcosa inizia a muoversi.

E’ la competizione, bellezza. E’ tutto più difficile, ma vogliamo credere che ci spingerà ad essere dei professionisti migliori. Nel frattempo, astenersi perditempo, venditori di slogan e di statistiche che nessuno va a controllare, distributori di gergo incomprensibile, pressapochisti e parolai, frequentatori del senso comune e venditori autoreferenti. E’ iniziata l’era della Qualità.

P.S. Il mio post precedente, quello sui tett i ciapet, ha conosciuto un successo di traffico notevole, decisamente superiore alla media. In un certo senso, purtroppo, in questo modo ha confermato le considerazioni che svolgeva. Voglio credere però che non sia stato letto solo perché parlava di sesso. Se dunque sei arrivato alla fine di questo post, se l’hai letto con la stessa attenzione di quello precedente, significa che il mio caro pubblico è diverso; grazie.

2 Replies to “E’ finita l’era del ‘good enough’”

  1. Convinto che sia finito quel tempo? Io sento sempre di più dire “arriva all’80% che va bene, il 20% poi lo faremo più avanti: cioè mai”. Quello che dici è vero, potrebbe essere una tendenza per un domani di prodotti migliori, magari non all’80% ma almeno al 97%-98%: ma oggi ho ancora la sensazione che siamo all’80%, e penso che la gente si accontenti dell’80%. Magari urla di più, magari sbraita di più, magari qualcono in più cerca il 97%-98% ma la massa, secondo me, si accontenta ancora dell’80%. Speriamo che il domani sia quello che dici tu.

    1. Prendila come una previsione, o un auspicio, diciamo che è nata dall’osservazione del comportamento di persone e aziende. Ad esempio, il weekend ha decretato che il nuovo iPhone non è al centro di isterismi come le versioni precedenti. Ma davvero, ti pare che uno possa stare in fila di notte per comprarsi il cellulare ?!?

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