Quando ci vuole, ci vuole, ovvero: per un’etica digitale

Mi piace parlare bene di qualcuno, quando posso; diciamo che è un modo come un altro per riparare, sia pur parzialmente, ai miei numerosi peccati.

C’era in casa un Xbox che dava dei problemi; abbiamo chiamato il servizio clienti; ci hanno spiegato chiaramente quello che dovevamo fare, soffermandosi e ripetendo con pazienza finché non abbiamo capito; dopo poche ore sono arrivate le email con tutti i dettagli, compresi quelli per il ritiro da parte del corriere; contattato il corriere, è passato poche ore dopo; dopo pochi giorni, la macchinetta era tornata a casa, appena in tempo per evitare una crisi d’astinenza ai giocatori di famiglia; la settimana successiva ci hanno richiamato, sempre cortesi, per accertarsi che il problema fosse effettivamente risolto; poiché c’era ancora qualche dubbio, hanno lasciato la chiamata aperta e hanno richiamato finché ho potuto confermare che potevano chiudere la pratica. Dimenticavo, tutto a loro carico, tranne i soldi per l’imballaggio.

Chapeau.

Avevo avuto un’esperienza simile qualche anno fa, per un proiettore della Panasonic, e non ho dubbi sulla marca che sceglierò la prossima volta che avrò bisogno di un prodotto.

Tutto questo non avviene per caso, è il frutto di studio, investimento e qualità manageriale. E deriva dalla comprensione che più importante di tutto, addirittura più del prezzo dell’azione in borsa, è la soddisfazione del cliente e la qualità della relazione con il mercato, che poi vuol dire tutti, clienti, fornitori e partner, dipendenti e agenti, adulti e ragazzini, fino all’ultima e meno importante delle persone con cui si parla.

Avevo un capo una volta che veniva accusato in azienda di perdere tempo ad ascoltare personaggi di nessuna affidabilità; poi ho capito, e ho imparato una grande lezione: che bisogna ascoltare anche i cretini (si fa per dire) perché ogni tanto anche loro hanno una buona idea. E non ci si può mai mai mai concedere il lusso di farsi passare vicino una buona idea senza ascoltarla.

In confronto l’industria dell’informazione sembra lontana anni luce; e non parlo tanto dell’editoria tradizionale, che tutto sommato è un mestiere come un altro; parlo del settore del digitale, che dovrebbe nascere nuovo e già orientato verso un’apertura alla qualità della relazione con l’ambiente. Ovviamente (ovviamente) è un mondo dove c’è una miriade di persone simpatiche e disponibili, galantuomini e gentildonne, persone intelligenti e dotate di spiccato senso etico. Mi stupisce però, e sarò ingenuo io, scoprire aziende digitali che trattano meglio i clienti grandi e trascurano quelli piccoli; “guru” dé noantri che non rispondono alle tue email, se reputano di non avere bisogno di te, neanche per dire che non sono interessati; la continua ostentazione di un linguaggio gergale, in un inglese peraltro spesso mal pronunciato, quando si sa benissimo che quel linguaggio non è comprensibile se non agli addetti ai lavori.

Ecco, ho iniziato parlando bene di qualcuno, e ho finito per sparlare di altri. Per un’etica digitale, pari e patta.

2 Replies to “Quando ci vuole, ci vuole, ovvero: per un’etica digitale”

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