Prendo spunto da un articolo apparso su Wired relativo a Klout e al crescente successo che sta incontrando come criterio di valutazione della presenza digitale delle persone, e per traslazione delle persone stesse.
Chiarisco subito che ho un punteggio da platelminto. Decisamente inferiore alla percezione che ho del mio “impatto”, qualunque cosa questo voglia dire. Il fatto poi di averlo visto salire per il semplice effetto di essermi registrato qualche tempo fa mi ha reso scettico e disinteressato, e ne ho pagato il prezzo. Tant’è.
L’idea di misurare l’influenza di un individuo con uno strumento matematico è affascinante, finché non la applichiamo a noi stessi. Se mi consentite un po’ di poesia, quando un bimbo dice che la sua mamma è bellissima, anche se la signora in questione non corrisponde ai canoni estetici comuni, lui dice la verità, perché vede la sua mamma per quello che è, vale a dire il suo amore e la sua tenerezza. Così ci vediamo noi, a buon ragione, e accidenti all’algoritmo che invece laurea pochi eletti, e bolla il resto come massa di sfigati.
Ci sono altre buone ragioni per rifiutare un meccanismo come questo e provo a elencarle:
- è discriminatorio; alcuni fornitori cambiano il servizio a seconda dello score, vale a dire che coccolano gli influencer e trattano … meno bene gli altri. Andate a quel paese, non avrete i miei soldi
- è inaffidabile: basta che Klout cambi l’algoritmo, come già successo, e la propria influenza scende o sale. Ma come, un elemento così personale come la mia capacità di influenzare gli altri cambia a seconda del sistema di pesi e di misure che utilizzi?
- Justin Bieber ha un punteggio di 100!
- se uno ci si dedica può alzare il punteggio in modo drammatico. Se io provo a essere più simpatico, non ci riesco. Se provo a dire cose più interessanti per impressionare la gente, facio fatica. Su Internet invece basta volerlo per diventare più “influential”? Bah …
- è mainstream, funziona (il punteggio sale) quando uno parla di cose che piacciono o interessano a tutti, dove ciascuno vuol dire la sua, ritwitta, risponde etc. Internet ha liberato la coda lunga, le siamo grati per questo e non vogliamo tornare a un mondo in cui è importante solo quello che esce nell’apertura del telegiornale
- dipende in modo estremo dai social network che uno utilizza. Io twitto relativamente poco, praticamente non uso FB ma dedico parecchio tempo e ricevo soddisfazioni da questo blog. Però questo non conta ?!?!
Resta l’interesse dell’idea di potere misurare e quindi controllare la rete di comunicazione che ci circonda. Io penso che un sistema come questo possa essere utile per capire la struttura della rete, il modo in cui l’influenza si propaga e può essere controllata o diretta. Se però viene usata per valutare le persone, diventa un modo particolarmente povero di applicare il vecchio assioma positivista, scientista e riduzionista secondo cui è vero solo ciò che è misurabile. La misurabilità è un vantaggio e direi quasi un valore della rete; ma non cadiamo nella trappola di quelle agenzie che ancora si fanno pagare a numero di follower acquisiti. Per poi sentire ai convegni i clienti che si stupiscono lietamente per avere scoperto di avere amici nell’Azerbaijan e in Pakistan.