Gli squali della scanalatura

“Scanalatura” è la traduzione letterale di “Groove”. Altrimenti avrei dovuto parlare di “ritmo”, più vicino ma comunque improprio. Insomma, avete capito che parlo di Grooveshark.

Ho sempre un po’ di timore quando parlo di diritto d’autore, che è un terreno tanto complesso quanto minato. Nello specifico, temo che il contenuto di questo post scontenterà tanto i sostenitori quanto gli avversari: chiamatela incoscienza, o onestà intellettuale, io comunque ci provo.

Per avvicinarmi al tema, chiarisco subito che non ho mai scaricato illegalmente e che pago tutto quello che c’è da pagare per leggere, ascoltare o vedere. D’altro canto questo mi porta a privilegiare contenuti liberi da copyright, o perché ormai nel public domain o perché gratuiti. Chiarisco anche che considero sacrosanto il principio secondo cui si dovrebbe remunerare chi crea qualcosa di originale; è sua proprietà e non rispettarla equivale a un furto, anzi è un furto; lo dice la legge, lo suggerisce la morale. Né comprendo come per la maggior parte delle persone la questione sembri assolutamente irrilevante. Quando se ne parla a cena con gli amici (e vi assicuro che cerco i miei amici tra le brave persone) e propongo la mia visione dell’argomento, mi guardano tutti senza comprendere. Anche i bravi padri di famiglia, lindi e rispettabili, che rendono il resto in più al cassiere che si è sbagliato, scaricano a sangue e sistematicamente. Proprio non percepiscono perché non dovrebbero farlo. Questa in fondo è la radice del problema: come tutte le cose della vita, se c’è la domanda si crea anche l’offerta.

Questo stato di cose fa danni, e non parliamo solo delle major hollywoodiane. Parliamo di tanti autori e editori che creano prodotti al meglio delle loro possibilità, sostenendo costi e investendo nella propria attività, per poi raccogliere molto meno del dovuto, perché molti scavalcano il cancello senza pagare il biglietto.

E’ con queste cautele che ho iniziato a utilizzare il servizio sopra menzionato. Mi è piaciuto e proprio per questo ho voluto capire se fosse legale. Ho fatto qualche ricerca in rete e per sintetizzare .. non è possibile sintetizzare, diciamo che ci sono varie cause in corso, molti dubbi ma niente di conclusivo. Allora ho pensato di utilizzare Spotify, che ha un profilo legale apparentemente più solido. Niente da fare, non opera in Italia, ovviamente posso mascherare il mio IP ma allora tanto vale. Pandora? Anche loro da noi non hanno aperto. Rdio? Stessa storia. Tutti i grandi e solidi, in Italia non operano. Qualche tempo fa iTunes aveva iniziato finalmente a distribuire i film anche da noi; mi ero affrettato a comprare Il Padrino, che è uno dei miei film mito e che mi piacerebbe avere sull’hard disk. Per fortuna prima di comprare ho letto le recensioni e mi sono fermato, perché il film era quello, ma avevano dovuto rifare il doppiaggio in italiano. Don Vito Corleone con una voce diversa da quella cui siamo abituati ?!? Baaah.. E ad oggi iTunes non distribuisce le serie televisive, come fa in altri paesi.

Il diritto d’autore dovrebbe stabilire le regole per cui gli utenti fruiscono dei contenuti, compensandoli opportunamente. Quando il diritto d’autore crea delle limitazioni alle modalità di utilizzo senza che questo abbia senso dal punto di vista dell’utente, allora cadiamo in una situazione che non funziona dal punto di vista del mercato, e che è di per sé è perdente, ora o nel futuro prossimo.

Infatti, l’unica argomentazione che trovo interessante tra quelle di chi giustifica lo scarico illegale, è che i modelli di business di chi detiene i diritti sono antiquati. “Interessante” significa che a mio avviso questo comunque non giustifica il fatto di far finta di niente e prendere senza permesso, ma che l’affermazione mette in luce una verità.

Ci sono modelli di business legali e moderni, adeguati alle aspettative degli utenti e efficaci anche da un punto di vista economico. Perché non investirci? E’ giusta la battaglia per i propri diritti, ma è opportuno combatterla per far sì che non cambi nulla? Aspettandosi che gli utenti rinuncino alla modernità e si accontentino di utilizzare i contenuti in un modo che non tiene in conto tutte le belle cose che si possono fare con la tecnologia? La legge può anche consentire di “arrestare” chi la trasgredisce, ma non è possibile “arrestare” il progresso. Impegno solenne: appena Spotify apre in Italia, mi iscrivo pagando.

2 Replies to “Gli squali della scanalatura”

  1. ok,in questi giorni sono in vena e mi impegno a rispondere anche a questo post.

    Allora, scaricare musica in maniera illegale è, per definizione illegale. Così come scaricare software, foto e quant’altro protetto da copyright. Mi sono andato a verificare l’origine del copyright e, con poca sorpresa, ho scoperto che esso risale al sedicesimo secolo, cioè proprio in concomitanza con la diffusione massiva delle macchine da stampa.
    Perché tale concetto nasce allora? Perché il valore della copia è elevato; chi ha la tecnologia per realizzare una “copia” deve essere garantito: primo, che il suo investimento nelle macchine da stampa si ripaghi; secondo, che i costi di distribuzione siano coperti dagli introiti. Insomma, il copyright nasce per tutelare imprenditori che fanno importanti investimenti nella “diffusione” della cultura e non necessariamente per tutelare gli autori. Oddio, in realtà poi il concetto nasce per tutelare il potere politico dalla diffusione di opere scomode, ma per questo, come in tanti altri casi, lascio la parola a Wikipedia alla voce copyright. Tuttavia, per arrivare al trasferimento del “diritto di autore” bisogna aspettare i primi del settecento e solo per concessione degli “editori” gli autori potranno beneficiare di una parte degli introiti derivanti dalla diffusione delle proprie opere.

    Facciamo un piccolo passo avanti adesso e arriviamo più o meno all’estate del 2010
    Sulle pagine di Wired Italia (ebbene sì la rivista che tanto scalda gli animi di supporter e denigratori) e di Repubblica, scoppiò una bella polemica (più una dialettica a dir la verità) tra Alessandro Baricco ed Eugenio Scalfari in merito al concetto di barbarie e imbarbarimento. I nuovi barbari sarebbero le persone del tempo presente, costrette a reinterpretare il senso ultimo della vita. Siccome entrambi i polemizzanti aumentavano a dismisura il campo di inclusione delle persone “imbarbarite”, piuttosto che barbari nobilitati (a seconda delle posizioni) mi è rimasta la spiacevole sensazione che alla fine, le nuove generazioni siano barbare (nel bene e nel male) solo in quanto “nuove” per l’appunto (ho semplificato e mi scuseranno i due autori della querelle). L’unico punto su cui i due autori concordano è il fatto che i “gli iniziatori d’ogni nuova epoca furono considerati barbari dai loro contemporanei”

    Per chi volesse rileggersi questa polemica basta cercare i nomi dei due personaggi associati alla keyword “nuovi barbari”.

    Questa parentesi mi serve per introdurre il concetto che, a mio avviso, chi scarica materiale in maniera “illegale” è sicuramente un barbaro, che se ne infischia delle regole e va avanti per la sua strada, portando, credo, l’inizio di una nuova epoca di cui siamo ancora agli albori e nella quale il diritto di autore dovrà cambiare in maniera importante. La critica di cui si parla nel post, il fatto che i modelli di business non siano ancora adatti, è sicuramente fondata, ma anche molto restrittiva. Anche in questo caso possiamo infatti allargare un po’ il discorso e tornare al primo punto di partenza: la proprietà intellettuale è valutabile commercialmente? Prima dell’invenzione della macchina da stampa, tale proprietà passava dal produttore al committente che richiedeva l’opera, dopodiché l’”artista” perdeva ogni diritto su quella realizzazione. È la rivoluzione industriale, ma ancor prima l’invenzione della stampa a creare il modello industriale. Oggi, siamo sicuri che tale modello non sia definitivamente declinato? La semplicità di duplicazione dell’opera è talmente semplice e immediata che, ragionevolmente, non ha bisogno di investimenti per essere realizzata, non crea valore aggiunto.
    Si dirà: perché la creatività non muoia bisogna garantire i costi di produzione. Eppure anche in questo caso forse si dimentica che un tempo l’artista viveva, ad esempio nel caso musicale, dei concerti. Il letterato era spesso finanziato dallo stato, o dai sovrani, e ancora oggi esistono fondazioni in grado di vivere fornendo software (gratuito) e servizi di assistenza (a pagamento), il caso di Mozilla fa da capofila. In sostanza, laddove il lavoro non può essere sostituito da un automatismo, c’è valore aggiunto e quindi business, altrimenti, con buona pace dei difensori del copyright, la battaglia è persa in partenza.

    Questo significa che la distribuzione non ha più senso? Assolutamente. Anni fa, era la prima bolla di internet ed era in auge Napster ricordo un bellissimo articolo (che lessi in inglese e di cui difficilmente ritroverei la fonte). La sostanza era che la pirateria richiedesse tempo e capacità per trovare i contenuti desiderati, mentre chi permetteva (all’epoca pochissimi) di scaricare musica in formato mp3 a pagamento organizzava i brani e li rendeva facilmente rintracciabili e rapidamente scaricabili con porzioni di banda garantita. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e anche il concetto espresso nell’articolo, secondo cui a scaricare materiale “pirata” sia chi ha più tempo e meno soldi (cioè principalmente studenti), mentre “acquista” chi ha meno tempo ma maggiore disponibilità è completamente superato. Senza contare nuovi modelli che si affacciano all’orizzonte. Ad esempio è curioso che sia proprio “the pirate bay” il sito più famoso al mondo per la condivisione di file bypassando il copyright a lanciare il servizio di autofinanziamento tramite donazione della produzione “flattr”.

    Una soluzione quella di flattr che non fa altro che fotografare una realtà già esistente: oggi compra chi ritiene etico farlo (come per beneficenza), scaricano “illegalmente” tutti gli altri.
    I nuovi barbari stanno sono oramai arrivati e rimanere chiusi in una torre di avorio (o di plastica, per citare un editoriale dello stesso Scalfari nell’ultimo numero dell’espresso) non salverà gli abitanti del vecchio mondo. I barbari, per definizione, non capiscono la lingua e non rispettano le leggi della Polis.

    1. Commento decisamente interessante, approfondisce il problema e lo proietta nel futuro, grazie.
      Concordo su molte tra le cose che dici; secondo me però c’è spazio per sostituire una componente di servizio a quella legata ala pura trasmissione del bene. I nuovi modelli à la Spotify lo testimoniano. Ma come giustamente fai notare, siamo solo agli inizi ed è difficile prevedere come si assesterà l’ecosistema. Io credo in un “ritorno al futuro” recuperando sistemi già tipici del lontano passato, che ondeggerà tra un modello alla Bach (scriveva un’opera alla settimana, commissionata dal suo mecenate, e in cambio aveva da mangiare lui e i suoi figli – magari “mangiare” adesso comprende Cayenne e groupies, ma insomma …), uno alla Woody Guthrie (la canzone non appartiene a me, fa parte del fluire della cultura popolare) e uno “misto” alla Shakespeare, dove già si parla di diritti all’opera, ma la differenza la fa la proprietà dalle distribuzione (lo stupendo Globe Theatre, visitatelo se passate da Londra).

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