… è (anche) crisi della pubblicità?
Serata di inizio giugno, televisione generalista in chiaro in prima serata. Break pubblicitario, mi concentro e ascolto, estraendo le parole dai trenta secondi di spot: “Un vortice di puro piacere da gustare fino in fondo!”; “E’ tutto vero?” (dopo avere ricordato il prezzo del prodotto e il marchio che dovrebbe garantire per una qualità fuori del comune); “Puoi essere la donna che vuoi” (sono fuori target ma insomma capisco lo stesso); “Vinci spesso, vinci adesso”; “Non vende sogni, ma solide realtà”; “Gusto, salute e poche calorie”. Devo continuare?
E’ chiaro che la musichetta accattivante e il frequente ammiccamento visuale alla soddisfazione di un bisogno primario dell’essere umano (e non sto parlando del cibo) aggiungono parecchio; ma ricordo quasi con nostalgia il periodo lontano in cui si diceva che la parte più bella della televisione erano proprio i break pubblicitari, che per un certo periodo sono stati arguti, ammiccanti, intelligenti e a volte addirittura artistici. Da tanto si dice che il consumatore moderno, più informato, istruito e smaliziato di quello di una volta, non crede più in promesse di questo tipo, che risultano inefficaci. Mi è capitato di vedere bambini correre dai genitori entusiasti annunciando: “papà, c’è una barretta che davvero fa dimagrire in poche settimane” oppure “dobbiamo assolutamente giocare a quel gioco, così diventiamo di sicuro ricchi”; è quasi imbarazzante spiegare che non è così, che quelle promesse … diciamo, non vanno prese alla lettera. Ma è ovvio che passati gli otto anni di età, l’approccio alla promessa pubblicitaria è ben diverso.
E poi ovviamente c’è Internet, che permette di approfondire, di fare paragoni, di consultarsi con chi ha già comprato. Sono discorsi ormai consolidati, c’è anche un nome che non si può più citare nei convegni perché sa di risaputo: infocommerce. E’ tutto passato invano? Mi rendo conto che i prezzi della pubblicità sono calati a tal punto che invece di costruire delle strategie di comunicazione più moderne c’è sempre la tentazione di comprare di più con meno e far conto sull’effetto volume, arrivando a svalangare due, a volte addirittura tre spot UGUALI all’interno dello stesso break; temo però che questo accanimento non possa che sfociare nell’assuefazione e nella ulteriore perdita di efficacia. Un circolo vizioso che culmina nel disgusto dello spettatore, o del lettore: pubblicità no grazie.
Mi pare evidente che il discorso è trasversale a tutti i mezzi, compresa la stampa. Il punto è che alla fine è il mezzo che viene percepito come “cheap”, tanto dagli investitori quanto dal pubblico; quando non fastidioso. Tanta acqua è passata sotto i ponti, tante cose sono successe, e la crisi recente così dura deve imporci di migliorare: mi permetto di dire, e so che di questi tempi di facile non c’è niente, che si può e si deve fare meglio.