Il 23 febbraio 1455 Johann Gansgleisch zur Laden zum Gutenberg stampa a Magonza la Bibbia a 42 linee. Subito dopo il banchiere che lo aveva finanziato lo fa fallire e gli sequestra tutto il macchinario. Nel 1462 il sacco di Magonza costringe lui e i suoi allievi a disperdersi per l’Europa, diffondendo il nuovo sistema di stampa.
Dunque, l’editoria moderna nasce 556 anni fa, dall’invenzione e costruzione di una macchina; è un inizio “industriale”, vale a dire che il modello di business è permesso ma al contempo vincolato dalla disponibilità di una certa tecnologia di produzione. Che a sua volta richiede una rilevante immobilizzazione finanziaria. Tanto è vero che inizia allora, per continuare fino ad oggi, il coinvolgimento dei finanziatori, di chi ha i soldi, banche, o altro. Insomma, per dirla male, chi ha i soldi e la capacità organizzativa può fare l’editore; gli altri no. Per dirla bene, l’esercizio del mestiere di editore richiede l’organizzazione complessa di fattori produttivi (redazioni, tipografie, agenzie di stampa, concessionarie …) che rendono necessaria la forma di impresa e la disponibilità di significative risorse finanziarie, organizzative, manageriali.
Questo ha comportato una concentrazione del mercato, e di conseguenza della possibilità di parlare al mercato (o all'”opinione pubblica”) tra quei pochi, relativamente pochi soggetti che possiedono queste caratteristiche; non tutti possono fare informazione, è oneroso e complesso. In Italia poi dovremmo anche rendere conto di svariati limiti legislativi che rendono l’accesso all’attività ancora più difficile, e dei corrispondenti aiuti di stato che essendo però disponibili solo a chi possiede determinate caratteristiche, non fanno che accentuare la regolazione del mercato; ma di questo se ne parlerà un’altra volta.
Nel bene (tanto) e nel male (un po’) il fatto che la gestione e distribuzione dell’informazione sia passata attraverso il filtro quasi esclusivo della “forma editoriale” ha contraddistinto la nostra epoca. Anche il passaparola, che torna prepotentemente alla ribalta nei nostri giorni sotto forma di “buzz”, è diventato un elemento secondario. “Vox populi vox dei” si dicedva una volta: lì stava la verità.
Questa esclusività dura da così tanto che siamo portati a darla per scontata, immaginando che i mass meda siano l’unico modo in cui le società possono comunicare. Questo però è un errore: le società comunicavano prima e (punto ancora più rilevante) comunicheranno anche dopo. Anche quelle democratiche: nella Milano del medioevo il popolo si raccoglieva nel cortile di Sant’Ambrogio, si informava e deliberava. Una democrazia diretta che è diventata non praticabile nell’era delle masse. Finché è arrivato Internet, che ha cambiato l’ecosistema, le regole del gioco, in primo luogo abbattendo le barriere all’ingresso del mercato, rendendo possibile produrre e distribuire l’informazione a costi praticamente nulli.
Il successo di “The Huffington Post” e la sua recente vendita ad AOL (315 milioni di dollari) fanno pensare che il paradigma sia davvero cambiato.
Certo dietro questo successo ci sono investimenti non proprio modestissimi (http://www.blitzquotidiano.it/blogpost/vendita-huffingtonpost-aol-zucconi-gaggi-platero-741613/) e fior di manager (evviva, serviamo ancora!), ma il dado è tratto.
La ricostruzione è corretta, ma secondo me non è detto che il futuro sarà troppo distante dal modello che ha dominato fino ad oggi. Secondo me internet non ha abbattuto le regole di ingresso al mercato le ha solo modificate, è cambiato il paradigma non il capitale necessario. Cerco di essere più chiaro, nelle economie di mercato ci si basa sul principio della scarsità, per dirla alla Anderson, e un mezzo come la carta è sicuramente “scarso”, perché produrre editoria (che brutta frase) è costoso e solo pochi soggetti possono permetterselo. Oggi però la scarsità non è più nel mezzo, ma si sposta sul soggetto finale, cioè il lettore. Ad essere scarso è il tempo e li costo di questo tempo sta salendo vertiginosamente. Fare in modo che un lettore consulti un sito o utilizzi una applicazione tra le migliaia che ci sono in girò è un compito arduo (ne sappiamo entrambi qualcosa, credo) e acquistare una posizione di privilegio nella marea informe dei dati che circolano sulla rete costa (addirittura pare pagare di più la pubblicità off-line per promuovere un sito piuttosto che la sua qualità intrinseca cfr tutti i siti schifosi che fanno una marea di accessi). Per questo, nonostante io sia un sognatore e mi piace pensare che la rete sia luogo di libertà e di espressione, un luogo, insomma dove si incarna perfettamente il sogno americano, purtroppo credo che solo poche mayor riusciranno a ricavare qualcosa da tutto questo perché poi alla fine si parla di questo, per dirla con qualcuno che ne capiva qualcosa “Money don’t get ev’rything, it’s true, but what it don’t get I can’t use” (tanto per restare in tema musicale)
ciao alessandro, bella la cavalcata tra punzoni, tasti linotype e hyperlink!
La scrittura nel 2020 sarà ancora da sinistra verso destra, dall’alto verso il basso oppure l’influenza cinese ci imporrà gli ideogrammi? L’importante è che – in tema musicale con il titolo – non si avveri la profetica ballata dei Nomadi “Noi non ci saremo” perchè abbiamo riempito il nostro pianeta di rifiuti….