… e non parlo di Raz de Gan, ma di modello di business dell’editoria.
L’editoria moderna è nata su un sistema “di massa” di produzione e distribuzione delle notizie, permesso dalla tecnologia della macchina da stampa; non più poche copie per volta, ma una miriade in uno spazio temporale limitato.
Permesso, ma anche vincolato: fare informazione richiede un notevole immobilizzo di capitali.
Il modello di conseguenza è il seguente: qualcuno perlustra il mercato (l’economia, la società, la politica …) individua e selezione le notizie importanti, le scrive, le “veste”, le classifica, le dispone in un formato e le consegna al lettore. La raccolta e distribuzione delle informazioni è controllato da una realtà industriale che la monopolizza; questo peché servono tanti soldi per fare un giornale.
Non così nell’era di Internet. Le notizie, per cominciare, sono dove sono sempre state, nel mercato “the answer my friend is blowing in the wind”; e chiunque (dico chiunque) può raccoglierle, scriverle, pubblicarle, distribuirle.
L’autoproduzone e l’autodistribuzione della notizia; come nella musica e tra poco nel software.
Ne consegue che prendere il modello “vecchio” (qualcuno dedicato che raccoglie, scrive, distribuisce etc.) e replicarlo sul web, o sull’iPad, è fallimentare. Non è il media che conta, o la formattazione delle notizie. E’ il modello, monopolistico accentrato o libero decentrato.
A chi obietta (riuscendo a non mettersi a ridere) che così si mette a rischio la “quallità dell’informazione”, ricordo che l’editoria moderna ha pochi secoli di vita, un singhiozzo nella storia dell’umanità; e non è che prima non si comunicasse.
L’editoria o sarà piattaforma, o non sarà.
Gli editori saranno costretti a capirlo.
C’è da dire che ogni nuovo media/device aggiunge qualche elemento di riflessione in più.
IPad, per esempio, restituisce valore all’organizzazione “tipografica” dell’informazione, che è, in fondo, il mestiere dell’editore.
Utenti che non si abbonano a servizi editoriali on line, ma che sembrano disposti a pagare abbonamenti su Ipad perchè apprezzano la fruibilità di giornali o magazine digitali che restituiscono centralità al contenuto all’interno di un format tutto sommato tradizionale, senza soverchi banners, pop up e ammennicoli vari che imperversano all’interno di pagine disordinatamente affollate…
Ma gli editori l’hanno capito?
Mi pare proprio di no.
Di piattaforme parlano solo i player di Internet, per gli editori sono ancora oggetti sconosciuti